Letteratura di chirurgia del piede

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Sperone (spina) calcaneare

Sperone (spina) calcaneare
Sperone (spina) calcaneare
TALAGIE E SPERONI CALCANEARI : INQUADRAMENTO NOSOGRAFICO ED IPOTESI EZIOPATOGENETICHE
G. BACCARANI, L. BATTAGLIA
Descritto per la prima volta nel 1900 da Plettner nella parte inferiore del calcagno, lo sprone calcaneare è stato più volte oggetto di attente considerazioni e valutazioni specialmente dal punto di vista eziopatogenetico: a tutt'oggi gli elementi accertati a cui si è pervenuti sono:
  1. non è una forma morbosa congenita;
  2. può essere localizzato sia inferiormente che postero-superiormente ;
  3. si riscontra quasi esclusivamente oltre una certa età (in genere oltre i 40 anni);
  4. spesso è associato a piede piatto o piede piatto traverso;
  5. quasi sempre è asintomatico.
Partendo da quest'ultima osservazione Arandes e Viladot (1953) lo hanno studiato da due punti di vista ben distinti; da un lato come reperto anatomico riscontrato casualmente nelle radiografie di molti piedi e che molte persone presentano in forma asintomatica, e dall'altro come eventuale responsabile di alcune forme talalgiche che si accompagnano alla sua presenza.
Gli Autori citati, in uno studio accurato sulla biomeccanica del catalogo, fanno riferimento ai 5 sistemi trabecolari che compaiono nel calcagno stesso:
  1. il sistema talamico;
  2. il sistema dell'apofisi anteriore;
  3. il sistema plantare;
  4. il sistema achilleo;
  5. il sistema del sustentaculum tali.
Il sistema achilleo, sul quale dobbiamo soffermarci, formato dalle trabecole postero- inferiori, più che un sistema rappresenterebbe un elemento di unione fra il tendine di Achille e la aponeurosi plantare; ha infatti un punto di ossificazione indipendente e la sua unione con il resto dell'osso avviene solo nell'età adulta. II tendine di Achille, che si inserisce nella parte superiore del calcagno, le inserzioni dei muscoli plantari e della aponeurosi che partono dalla porzione inferiore ed il sistema achilleo, costituirebbero una unità funzionale indipendente: «il sistema achilleo-calcaneo- plantare »; il calcagno agirebbe pertanto come un grosso osso sesamoideo con funzioni simili a quella della rotula fra quadricipite e tendine rotuleo.
La comparsa di formazioni ossee nel contesto di questo sistema, in corrispondenza dei punti di maggior tensione e trazione (parte inferiore e posteriore del calcagno) non sarebbe che la accentuazione di un processo fisiologico: sempre secondo gli Autori citati, la prominenza neoformata passerebbe attraverso le fasi di proliferazione midollare e vascolare, neoformazione osteofibrosa ed infine metaplasia in sostanza ossea spongiosa; lo sprone sarebbe pertanto un fenomeno quasi obbligato nella evoluzione senile de! piede. Concordando con la citata ipotesi eziopatogenetica riteniamo che le neoformazioni calcaneari siano diretta conseguenza di fenomeni di trazione e di tensione, come del resto è facile rinvenire in altri distretti in cui agiscono potenti fasci muscolari, ad esempio il polo superiore della rotula con la sua inserzione del quadricipite e l’apice olecranico con la inserzione del tricipite.
Il discorso, però si fa più interessante e importante quando si passa a considerare il ruolo che queste, che potremo denominare genericamente, « iperostosi marginali », possono ricoprire nella insorgenza di una forma dolorosa.
Nel ginocchio e nel gomito infatti, non sottoposti all'azione del carico diretto, esse non creano problemi particolari, nel piede invece saltuariamente danno origine a talalgie che talora arrivano ad impedire una corretta deambulazione. La maggior parte degli Autori che si è interessata al problema è concorde nel ritenere che lo sprone non sia direttamente responsabile della sintomatologia dolorosa ed a conferma di ciò vengono costantemente riportati due fenomeni di comune riscontro:
  1. la frequente comparsa di talalgie in assenza di sproni evidenti;
  2. la ancora più frequente presenza di sproni assolutamente indolenti.
Secondo Arandes e Viladot, nella patogenesi del dolore debbono avere importanza altre lesioni sovrapposte o associate, come la presenza di una borsite irritativa oppure la sollecitazione meccanica da calzature incongrue o infine la comparsa di fenomeni di periostite per trazione eccessiva dei muscoli plantari (come ad esempio nel piede piatto).
Secondo Massera (1948) la genesi del dolore sarebbe da riportare ad una azione irritativa meccanica sul nervo calcaneare interno con processi di sclerosi perifocale e borsite.
Secondo Grassi e Murari (19~5) l’effetto meccanico di trazione influenzerebbe in modo decisivo la comparsa del dolore.
A nostro giudizio per risalire alle cause responsabili della sintomatologia dolorosa è necessario un breve ricordo anatomico.
Alla tuberosità calcaneare si inserisce, superficialmente, la aponeurosi plantare, formata da una robusta lamina connettivale che si irradia distalmente in 4-5 fascicoli divergenti; essa svolge la duplice funzione di aiutare la stabilità della volta longitudinale e di proteggere le unità anatomiche sottostanti (muscoli, vasi e nervi) dalle sollecitazioni pressorie dirette. Subito al di sotto della aponeurosi troviamo numerosi gruppi muscolari che, pur costituendo tre logge ben distinte (mediale, intermedia, laterale) hanno in comune la inserzione prossimale alla tuberosità inferiore del calcagno: essi sono l’abduttore dell'alluce (loggia mediale), il flessore breve delle dita (loggia intermedia) e L’abduttore del 5° dito (loggia laterale). Questo significa che sulla tuberosità calcaneare possono agire sia forze di trazione passive che attive, in grado di generare fenomeni reattivi di tipo produttivo a livello delle inserzioni muscolo-aponeurotiche, che non possiamo esimerci dal giudicare
direttamente responsabili della sintomatologia dolorosa analogamente a quanto avviene nelle epicondilalgie.
Analizzando più attentamente la sintomatologia dello sprone calcaneare e della epicondilalgia, notiamo come numerosi e singolari siano i punti di contatto: già dal punto di vista eziopatogenetico in entrambe le forme si può riconoscere molto spesso un meccanismo irritativo da microtraumi ripetuti, il classico tennis-elbow degli sportivi o la epicondilalgia dei muratori che usano ripetutamente la cazzuola da una parte, la talalgia nei portatori di piede piatto da eccessivo stiramento della aponeurosi plantare o nei camerieri da sovraffatica mento dei muscoli plantari brevi dall'altra. Così del resto in entrambe le forme morbose si possono trovare casi senza una causa ben definita in cui il dolore può rappresentare unicamente una manifestazione locale di una forma morbosa generalizzata, una localizzazione extra-articolare, cioè, di una malattia primitiva articolare (artrite reumatoide, collagenosi o lupus ecc.).
Anche dal punto di vista anatomo-patologico le analogie sono piuttosto singolari: fenomeni di miotendinosi con diffuse infiltrazioni parvicellulari, intersecate da tralci di tessuto cicatriziale ripartivo, si associano spesso alla presenza di vere e proprie borsiti.
Secondo Vanni e Nuti la associazione fra sprone e borsite rappresenta un carattere pressoché costante e le due entità nosografiche sono in rapporto di stretta interdipendenza.
Ed infine anche nel trattamento terapeutico troviamo evidenti analogie: riposo (con apparecchi gessati nel gomito e con plantari di scarico nel piede), trattamento medico locale e Roentgenterapia in entrambe le forme morbose, fino a giungere, nei casi
più resistenti, all'intervento: questo, analogamente a quanto pratichiamo nel gomito dove vengono staccate le inserzioni degli epicondiloidei, anche nel calcagno si propone di detendere le formazioni plantari, scollandole completamente, e che per far questo in maniera razionale il più delle volte si sia costretti ad asportare lo sprone, è un mero elemento di tecnica chirurgica.
Il concetto non è del tutto nuovo, se è vero che già nel 1935 Spitzy, in analogia con l’intervento di Homann per la epicondilalgia, consigliava una « fasciotomia plantare » mirante ad interrompere la eccessiva tensione della aponeurosi plantare; questo intervento, che a detta dell'Autore e di altri che in seguito l’adottarono (Hallerigh e Lewin, Grassi e Murari) ha dato buoni risultati, agisce, secondo il nostro parere, su una sola componente (l’aponeurosi), lasciando intatta quella legata ai muscoli brevi plantari. Al fine di realizzare una rimozione veramente completa e razionale della componente flogistico-irritativa che dà origine alla talalgia, il nostro indirizzo chirurgico è stato pertanto quello di eseguire uno scollamento completo di tutte le entità anatomiche che si inseriscono alla tuberosità calcaneare.

TECNICA CHIRURGICA
Previa breve incisione lineare lungo il bordo mediale del calcagno, cercando di evitare alcuni piccoli rami sensitivi che passano obliquamente dall'alto in basso, la cui sezione porta ad una piccola zona di ipoestesia sottocalcaneare, si giunge sul piano osseo, dove, stando accuratamente aderenti al calcagno (per non ledere il ramo plantare mediale dell'arteria tibiale posteriore), si staccano con tenotomo o meglio con scollaperiostio, tutte le formazioni inserite, mantenendo contemporaneamente in massima tensione la volta plantare fino ad avvertire una chiara sensazione di cedimento; come già accennato in precedenza, spesso per ottenere una completa liberazione e necessario asportare lo sprone o staccarlo con un colpo di scalpello.
Una fasciatura modicamente compressiva verrà mantenuta per alcuni giorni, dopo di che, una volta controllata la ferita, verrà concesso il carico con appoggio sull'avampiede, per passare poi al carico diretto con plantare di carico in 15a giornata circa.
 
CASISTICA
La nostra casistica riguarda solo i 15 pazienti venuti a controllo, ad una distanza minima di un anno e massima di 10, per un totale di 20 talalgie: 6 appartengono al sesso femminile e 9 al maschile; l’età varia da un minimo di 36 anni ad un massimo di 67 con netta prevalenza del 4° e 5° decennio.
Come elementi patogenetici ritroviamo 5 casi di piede piatto conclamato, 3 casi di attività lavorative legate a prolungata stazione eretta (due camerieri ed una operaia di linea), due casi con artrosi polidistrettuale, una vera artrite reumatoide, un obeso ed un gottoso.
I1 decorso postoperatorio non ha quasi mai creato complicazioni: in un solo caso, donna di 5~ anni, si è avuto un iniziale e transitorio risentimento di tipo flebitico risoltosi in breve tempo: in due casi la ferita è guarita per seconda intenzione, in 4 casi, come complicanza tardiva, abbiamo riscontrato una zona di ipoestesia interessante il versante plantare del calcagno dovuta a lesione dei rami cutanei mediali calcaneari.
I risultati a distanza sono stati sempre buoni, in alcuni con beneficio immediato, in altri invece a distanza di qualche mese; un solo paziente, un uomo di 40 anni obeso, ha tratto scarso vantaggio dall'intervento.
 
RIASSUNTO
Gli Autori, basandosi su una rapida revisione di una ventina di interventi per talalgia associata a sproni calcaneari inferiori, prospettano I'ipotesi patogenetica che la talalgia rappresenti la diretta conseguenza di un abnorme stiramento delle strutture muscolo-aponeurotiche della pianta del piede, mentre l’iperostosi marginale del calcagno rappresenta un mero reperto accidentale, che può anche non essere presente (ovvero, anche se presente, non determinare alcuna sintomatologia).
Questa forma morbosa può pertanto essere assimilata, sul piano eziopatogenetico e clinico, alla epicondilalgia da eccessiva trazione muscolare; ciò è confermato dagli esiti soddisfacenti degli interventi chirurgici che realizzano il distacco muscolo-aponeurotico dalle aree scheletriche sedi della sintomatologia sia nel gomito che nel calcagno.